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Al Manac

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GRIGORIJ KOHELET

Pseudonimo di G. Kapcan. È nato nel 1954 a Fergana. Si è diplomato all’Accademia di belle arti di Taškent. È pittore e poeta. Nel 1990 è emigrato in Israele. Dal 1998 vive in Olanda. Ha esposto suoi quadri a Mosca, a Gerusalemme, a New York. Ha pubblicato versi e prose poetiche su riviste di Taškent, San Pietroburgo, Tel Aviv.
RITORNO

È possibile tornare nel paese degli sguardi e dei gesti.
E lì casualmente morire, al posto di un uccello o di
un cavallo. La gente non noterà la scomparsa, la morte
è solo un quadro che illustra un movimento,
una parte di un movimento. I gesti e i frammenti
di sguardi si posano come missive accanto alla porta,
sui gradini, dove il sole e la sera durano un secolo.
È possibile immaginare come noi, illuminati dal
sole calante, sediamo a tavola, con la schiena
rivolta alla porta e alle statue pietrificate. Nel quadro
di Bruegel I ciechi  ho visto la stessa tensione,
lo stesso silenzio pervadere sagome di un’assurda caduta.
Ora ci alzeremo e scenderemo giù, dove tra i rami
di fico sono appesi brandelli. V’è il
tempo in cui non si ha la forza di trasalire, risorgere.
La musica è un bisturi, recide i fiori alla radice.
Ho preso la mia mano e ho come composto al
telefono il numero dei gigli e degli iris.
SULLA PUNTA DEL SOGNO

Aggrappata a un lembo del vestito, l’ombra si è trascinata
sui geroglifici del lastricato.
Sotto il tavolo del banchetto si nascondevano
i cani a rosicchiare gli ossi.
Odiavo tanto me stesso perché sono riuscito
ad amare la mia vita.
Come una guida cieca il pensiero correva davanti
al suo creatore.

Egli ricordava l’infanzia, immergendo i piedi nudi
nella polvere tiepida.
Così l’ho trovato – scriveva i piani per la sera:
telefonare, andare…
Nel nuovo anno 5755 secondo il calendario ebraico
si è addormentato su uno sgabello rotto
in un piccolo cucinotto.
A mezzanotte un gatto l’ha annusato.
A mezzanotte e mezza ha visto una blatta
muovere i baffi nel ripiano delle stoviglie.
Non piangeva mai, quando ricordava
la propria vita.
Ora, se lo sveglieranno, tornerà
bambino.
Non giungerà mai il domani. Lui non riconoscerà
se stesso – a rodere un tempo infinitamente dolce.
MENSA SERALE

Letterine spezzate, trasparenti come vetro, svanirono
alla prima stretta di mano.
Una persona scrutò gli occhi grigi del cucciolo, una palla rotolò
nel fosso, risuonò nella manica di cemento. Un cocomero stillò gocce
sul pavimento.
La lama del grosso coltello penetrò nel frutto screpolato.
Le dita aprirono una soffice pesca, stanche palpebre serrarono i nuclei degli occhi.
La mensa serale, non violata da alcun gesto superfluo,
attrasse le anime assonnate nei recessi della follia infantile.
Il bambino osservava gli adulti, godendosi accuratamente il cibo.
La mamma incinta ninnava i gattini addormentati.
Niente violava la quiete delle dita nervose, che sembravano stringere
accidentalmente una pesante maniglia.
SFORZO

La schiena doleva per la scomodità.
La spina dorsale, tesa come una corda,
all’improvviso si afflosciò.
Lenta inspirazione, lenta espirazione,
le spalle, come un sorriso, denudarono il biancore della parete.
Gli occhi, impassibili e indagatori, videro il tavolo e le mani
come per la prima volta: la carta sgualcita a pezzi, il caffè
non bevuto, la porta del bancone abbandonato.
EROS

aprì la tua bocca
la piccola bocca
e annunciò: mai!

quando le voci tacquero
nella stanza vuota
la parola "mai"
si trasformò in un fiore
le mani reggevano un vetro
dietro cui scendevano mute
le parole
quando ci sposeremo
(in questa vita non accadrà)
imparerò nuovamente il tuo nome
DUE

Ti racconto un sogno. Una volta
sono caduto sulla neve.
Sdraiato sulla schiena, sprofondavo
sempre più in basso.
Sul fondo di un immondezzaio.
Non hai sentito il mio sogno, riparandoti
dietro le notizie del giornale, sussurrando piano:
come ti odio.
GOCCE DI RUGIADA

Al mattino v’è lo stesso paesaggio, la stessa strada.
Ardono le candele.

Un autobus si solleva verso l’alto.
Ogni mattina mi ricordo di te –
rametto di corallo
cresciuto in un vaso di fiori.
Nei riverberi del biancore trilla un grillo.
Nell’autobus capovolto goccia la rugiada.
LANDA DIMENTICATA

Viviamo sotto una linea.
Chi l’ha tracciata?
Chi ha prolungato la nostra vita?
Ha anche composto una ghirlanda di fiori canuti…
Questi giocattoli, orsetti, leprotti, pappagalli,
sono disegnati per i bambini da un clown sgargiante
e sono moltiplicati in ogni volto,
in ogni finestra, in ogni speranza,
che termina con un suicidio.
Nei luoghi, dove il nostro amore si è appigliato
come un vigneto tra le pietre,

come erba selvatica sotto un lembo del tetto,
si annodano i fili del telegrafo, allungati
sopra l’urlo di un bimbo, sopra il desiderio
insensato di vivere o morire.
TRAIETTORIA

Incalzate dal vento, le fronde volavano
negli imbuti delle grotte.
In lotta con il sonno per non destarsi tutta la vita,
oscillando da una quotidianità all’altra.
Ci incontreremo sulla barca di Caronte,
senza togliere la mano dall’involucro dei giorni.
Una mano soffice coperta dal bianco inchiostro
dei cocci frantumati dell’abisso lattescente.

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ÀÂÒÎÐÛ:

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