I nomi degli autori di Fergana,
i cui testi qui pubblicati in italiano rappresentano una delle
pagine della poesia indipendente russofona, sono echeggiati
per la prima volta alla conferenza dei critici di Taškent
quindici anni fa e, all’inizio degli anni ’90, sono comparsi
negli articoli dei giornalisti moscoviti e pietroburghesi.
Si tratta di un gruppo di persone, unite dell’aria che respiravano,
dalla comunanza dei gusti letterari, dal senso del territorio.
I motivi principali della loro opera sono: la serenità
(cioè una condizione statica, che conferma che il mondo
semplicemente scorre); la precisione delle descrizioni sensoriali,
e non una astrusità complicata; la percezione della
felicità, capace di soffocare la lingua, il cui limite
secondo Wittgenstein coincide con il limite del mondo; la
propensione per la terra e per il frammento, che è
l’elemento più naturale della sopravvivenza emotiva;
l’atmosfera, che in ogni momento rischia di spezzarti il cuore,
il caldo spazio vuoto, indefinito e indivisibile; la tendenza
ad allontanarsi il più possibile dalle proprie radici
per arricchirle con la propria partenza, e al tempo stesso
"un amore esitante e dolce per un determinato frammento
del reale" (come è detto in un articolo di Pasolini,
dedicato a un film giovanile di Bertolucci); il contatto come
modo rispettabile di accordarsi con la realtà; la riservatezza
e il tono neutrale, che preservano la tua libertà.
Nel nostro Oriente, a Fergana, l’uomo è una parte dell’aria,
con cui fluttua verso un’ignota lontananza, – sei rivolto
fondamentalmente verso un’epicità ereditaria. Tutto
accade per le circostanze esterne e per una vaghezza paternalistica.
Cosicché qui sono ideali la poesia impersonale e la
prosa frammentaristica, che raggiungono la perfezione e la
naturalezza a discapito della fissazione libera e precisa
dei fatti scoperti. Un simile approccio presuppone la possibilità
di illuminazioni naturali attraverso l’ignoranza e la radiosa
cecità, svanisce il bisogno del giudizio, della riflessione,
dell’impeto di gravosi sforzi analitici. Occorre anche notare
l’atteggiamento dei poeti di Fergana verso la questione stilistica:
rifiutiamo il diktat della struttura tempo – ritmica, perché
è il segno della meccanicità del materiale,
noi invece siamo interessati al tessuto versificatorio, che
non è affatto determinato soltanto dalla purezza e
dalla staticità del metro. Sul piano melodico – musicale
ci pare molto più attuale l’intonazione individuale,
che regola i vari accenti sonori, le posizioni deboli e forti,
i salti, le pause, i tremiti, l’eco, i rumori, le lacune,
i passaggi improvvisi, le vibrazioni. Questo modello linguistico
crea una determinata tensione lirica, come costringendo l’autore
ad azioni volontaristiche, visionarie, come immergendolo nella
corrente delle associazioni libere. Per quanto riguarda le
priorità artistiche, qui sono spalancati per noi mondi
di preferenze, teniamo necessariamente in considerazione le
peculiarità individuali e territoriali, ignorando i
sintomi del narcisismo nazionale, poiché la mentalità
orientale e il nichilismo occidentale sono solo un inganno
linguistico. Il nostro lavoro è un inutile tentativo
di esprimere il terrore incalzante davanti alla libertà
eternamente sfuggente. Ogni scrittore compone un’opera, richiamandosi
a un particolare della cultura fondamentale e al contempo
attraversando la linea del condizionamento linguistico. Si
può dire che sia una rete di stili, che lascia la possibilità
per infiniti adattamenti e tormenti, ma attorno si cela un’essenza
svelata che ci unisce – il fortissimo interesse per la vita
e, al tempo stesso, il dubbio riguardante il suo significato.
Fergana, 1999
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