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CHAMDAM ZAKIROV – VERSI (pubblicata sulla rivista "Il vascello di carta",
Bologna, febbrario 2003). Traduzione in italiano di Paolo Galvagni

Idi d'agosto

Nulla aiutera. Se solo l'estate
non passasse. La calura
e pari alla solitudine. In citta
non incontrerai nessuno,
questa
e la cosa piu umana.
Cedere al quieto scorrere della tristezza,
inaridita dall'estate – mi hanno
consigliato; l'afa, l'acqua fredda.
In autobus gli alterchi per un posto.
Non ho soldi per i libri. Ne forze
per la vita. Come continuare il tema? Giunge
il reggae dal registratore, e tu senza parole
mi guardi cosi a lungo. Certe fanciulle
corrono attraverso la strada, attirando
a se l'attenzione. Anch'io
vorrei vedere, ma,
quando quasi tutti hanno il terzo occhio, (1)
e piu forte il desiderio di essere cieco. E
nella luce brillante affondano le sagome, la gente
si stringe alle pareti: l'oscurita sfrenata, e a me
dato vivere soltanto una notte,
che non finira mai, che solo il tuo sembiante
sospendera per un po'; avvampera
alla luce di un fiammifero
il tuo viso,
sorella,
accidenti.

Cenere

Giornata primaverile. Un raggio di sole
ha occupato meta cucina. Mi
riscaldo in solitudine, si disgela
il cuore. Una musica melliflua chiama
a qualcosa di romantico.
Leggo Trakl – "Il salmo", ma tutta la religiosita
e legata alla luce solare, che marchia
la pelle con misteriosi segni pagani, cancella come una gomma
le stimmate e i tatuaggi. Il paradiso
e per chi non riconosce il paradiso. La citta – eterna, maledetta – mi copre i monti:
le case, tristi, ora si sono trasfigurate, come alberi,
che con tutto il loro aspetto
mostrano – siamo gravidi dalla primavera, e dove
ancora essa si avvertira? Questo delirio
entra sempre nelle orecchie – come
una mosca, un calabrone di passaggio, o i colombi, che
sulla veranda si uniscono in matrimonio. A me
non viene il mio angelo. Chi mi salvera,
oh Ardvisura (2)? E primavera,
e il cielo azzurro e ancora freddo e sordo
alle mie preghiere. Vorrei sentire
la "canzone dei rami di melo" (3). In cambio
mi hanno proposto
di finire con le sciocchezze e di impegnarmi. Dio!
Certo, e tempo di diventare zoroastriano:
bruciare tutto sul cammino e lasciare solo
la terra bruciata dietro di se, coprire di cenere
le proprie ciocche arruffate. Del resto,
viene circa cosi: meta marzo,
mezzogiorno, la cucina.

Scoperte geografiche

La sera ha lasciato del tepore, ma e svanito l'elogiato vigore.
S'ammassano le foglie secche sotto i piedi, ed e tardi per riflettere:
il ritorno a casa e ineluttabile.
I soavi giorni della solitudine sono nel passato.
Occorre parlare a lungo, la gola pizzica costantemente.
Pare che manchi qualcosa. Ma
il tempo, i fatti, il silenzio, o
forse la frutta e il sole?
Del resto, non si aggiusta niente.
Quando la scelta e fatta, non v'e scelta.
Non si domina il destino. Come si vede dall'esperienza,
e a se stante e da, senza nulla dare.
Occorre rassegnarsi senza
lamentarsi: sarebbe da stupidi
rivolgere le proprie grida ai cieli nuvolosi.
I libri si impolverano sugli scaffali. Da quanti giorni
non ho le forze per sorridere. Il cuore
pretende altro. (La terra secca, l'erba e i sandali leggeri.
Il movimento senza direzione. Non sappiamo forse che
l'orizzonte e irraggiungibile sulla pianura, che tutto ha senso
eccetto il senso.) Vuoi il te? O il caffe? O forse
conviene guardare la vita diversamente?
Non abbandonarsi ai sogni e non rimpiangere
il passato, che e stato e non e stato.
Il mondo e sempre davanti a noi, ai nostri occhi:
l'accendino, due bicchieri, l'ultima sigaretta,
il segno del ferro da stiro sul tavolo, la penna e il foglio,
che non voglio imbrattare oltre.
Perche il mondo cambi, getta i mozziconi nella pattumiera.
L'autunno e gia arrivato.
Non si raggiungera ormai altro.
Da Capetown a Karachi ci sono 8600 chilometri.

Due inutili monologhi

1

Omai e meglio non dire nulla. Spaventeremo solo
la quiete. E come rendere a parole i suoni,
che penetrano nella stanza con il pigro
barcollare della tenda? Qualcuno
sussurra una preghiera; il vento
passeggia nella galleria – sulle carte scricchiolanti,
i frammenti di giornali; il sibilo tremante dell'infisso e ancora – il fragore di un'onda sopraggiunta, che batte
sulle pareti della casa, dove,
come t'e parso, sei in un solido riparo. Come rendere
cio con parole, che emettono solo odore, sibilano – fetido bordo pieno di bolle – sulla
superficie della muta oscurita,
che ci ha inghiottiti? La spugna dei polmoni
e permeata dalla stanca lingua impotente.
E come dire di cio che ci spaventa
per la sua vaghezza, alberga in noi,
sorridendo? Come?

2

L'alba non c'inquieta piu del tramonto.
Per noi, alla nostra eta, tutto e uguale, dicono loro,
passeggiando tra il bosso e l'albero di giuda . In questo parco
siamo cresciuti. Che cosa non e stato qui? Tutto – eccetto gli alberi – le nostre
rughe, i capelli canuti e i dolori. Che ci
rimane: passeggiare al mattino, badare ai nipoti,
che non hanno a che fare con le nostre
speranze irrealizzate e le impressioni spente.
Non sentono la malinconia, che riempie tutto il circondario.
Viviamo in essa. Un albero secco. Un altro. Una sciocchezza,
forse. Ma
chi di loro l'ha notato? Noi a ogni passo
ci separiamo dal passato, muoviamo
la spalla sinistra alla corrente d'aria, incapaci
di deciderci ad altro.

Pittura oltre la finestra

Quando ormai te ne freghi di tutto
e questo non e provocato dalla stanchezza quotidiana,
inizi a comprendere l'albero, aggrappato alla terra,
l'uccello, le cui ali afferrano convulsamente l'aria, la persona
che esterrefatta non riesce a proferire parola e
ha gli occhi troppo spalancati.
Ma comprendere non e accettare,
noi piuttosto accogliamo tutto questo – come una realta obiettiva,
un destino o come volete chiamarlo.
Il bosco continua a vivere, l'uccello a volare, malgrado l'indifferenza,
e noi non siamo in grado di cambiare qualcosa – vivi,
scoprirai piu tardi dov'e la tua via – quando l'albero diverra piu
alto delle radici per importanza, la parola sara non piu grande del gesto.
Leggendo un articolo sull'espressionismo, pensando a Tolstoj, decifrando
i ghirigori cinesi, dov'e impossibile trovare una fine – ti scosti appena dall'inizio, il filo si spezza, – ti alzi,
incominci lentamente a fumare una sigaretta e
nella vaga foschia di un quadro di Qi Baishi (4) vedi un fiume,
che porta il suo estraniamento
senza il cinismo a noi tipico. Il fatto che un fiore
nasca in primavera per svanire in inverno, che
una farfalla viva un solo giorno, – non conferma
altro che la nostra impotenza. Quindi:
occorre accogliere tutto questo e sottomettersi
al flusso delle casualita, che ci conduce
a un burrone, a una cascata. Mi sottometto anch'io
alla sequenza di queste parole che non significano nulla.

Diario: donne anonime

I

Sul balcone
s'agita, impazzito, un uccello perche l'aria s'e gelata,
non lo lascia entrare. I vetri tremano ai colpi del corpo,
inebriato dalla vicinanza di uno spazio irraggiungibile.
Aspetti il culmine. Ed ecco
il batuffolo scuro si ferma, appena due, tre piume
volteggiano sul pavimento. Ricordi altro: una vecchia,
che negli ultimi istanti chiama il pronipote.
Egli intanto e scappato via,
incapace di trovare le parole. Non per lei: a lei
basterebbe sfiorare solo il suo naso.
Quando il bimbo aveva cinque anni, ella, rintanata sotto
un gelso, riusci a catturare un passero, lego un corda
a una zampetta e ripose l'altro capo nella sua manina.
Il piccino resistette una decina di secondi, poi
le dita si aprirono. Fu sufficiente perche
il dolore, il senso di paura si trasmettessero a lui.
– Allora avevi piu di settant'anni. Il tremolio di quel filo
vaga in me sino ad oggi, ritornando
di tanto in tanto. Ricordo anche che hai
cucito per anni il telo funebre, senza fretta, –
mormora lui, e per il suo mormorio, come per un urlo,
si risveglia. Lei non c'e piu da due anni. Be'.

II

Il ronzio della lavatrice. Una voce femminile
chiama qualcuno, elenca
fiaccamente i nomi dei parenti convenuti al funerale,
si lamenta per gli occhi stanchi, chiede: "Conosci
i precetti?" Quindi
compare sulla porta, riflette a voce alta – che cosa preparare, il piccolo non ubbidisce, che
ne sara di lui, non so, compra un altro motorino,
e tu come vivi… L'ignoto
batte fragoroso al suo cuore, talora
le scappa di bocca: "Perche,
perche vi ho avuti?"
Scompare. Ora giunge
dalla cucina il tintinnare delle stoviglie. La sua voce
s'e persa tra i granelli di polvere, che brulicano
sulla scia di un raggio. La luce
e affondata su un taccuino aperto. Il "piccolo" scrive versi.
– Bisogna, – sussurra lei, tace, sbuccia una mela, e la pelle
rimane sospesa come un esile nastro accurato, ecco
ora tocchera terra. Lo so:
tutto finira subito. Purche
lei non se ne accorga. Il giorno e il suo tempo. (Per me,
ad esempio, sentire la sua voce,
e molto piu naturale che vivere).

III

Pare che nulla sia avvenuto – un sogno, l'accresciuta
immaginazione, nulla piu. Ma ecco
una lettera; lei scrive di avere un umore nero, alla fine
si rifugera nella natura; la ressa, i volti astiosi, il clima – la citta l'ha sfinita; mi pensa, spera
in un incontro etc. E io
tento di capire la mia sensazione, tento
di abituarmi alla nuova posizione delle cose, ma
d'un tratto m'accorgo di lamentarmi per l'arsura:
non c'e un alito, che… Il mio compagno
legge dal quaderno: "… il tempo s'e posato
tra i versi letti come un granello di sabbia.
Una sfera rossa s'e posata sulla lastra dell'orizzonte come
un epitaffio, noi abbiamo adagiato il silenzio – un bimbo – nella culla delle vuote tazze da te"; tace,
poi annuncia: "Il mondo s'e capovolto" – ormai s'e girato
sull'altro lato, con la testa sospesa sul bordo del divano,
cedendo alla tortura dell'assenza di vento. Allora
ricordo: il balcone, "il firmamento cosparso di stelle",
ella dice che non ne puo piu, quella e forse vita,
e insopportabile, nulla si puo cambiare; io
cerco parole di conforto, fumo, e in questo momento
il desiderio di morire
e gravoso come non mai.

Diario: Fergana, 2000

1

E qui la favella piu nitida – il vento conversa con le foglie. Il resto – suoni, voci – tende al silenzio, e soggetto
alla legge segreta dell'atmosfera locale.
Anche il megafono, l'altoparlante, che per un'antica tradizione
diffonde vivaci motivi sul parco,
arriva come da lontano.
Le ultime giornate di settembre sono fresche, ma
sono leccate dalla luce, quasi vi fosse
l'argento alla base del processo visivo – come nelle vecchie foto – nell'opaco luccichio dei dagherrotipi semi cancellati.
La citta e la stessa, sebbene irriconoscibile:
in luogo delle vecchie casette del centro – i parchi. Ebbene,
un monumento davvero decente di quanto resta
nella nostra memoria (dove dovrebbe stare?). E questa,
la citta reale, e come diventata
piu accessibile, piu dolce, piu arrendevole, pare
essere fatta di cera o plastilina
e attendere solo il tocco di una mano, per cambiare forma.
Per cambiare. Per cambiarsi.

2

Gli angoli, le fermate, le chiacchiere del vento.
L'asfalto e increspato per le radici e i balenii.
Nella mia citta natale ha luogo lo stesso
baccanale di quiete e arsura,
su cui ha potere soltanto il vento
e l'alternarsi dei giorni e delle notti. I piedi
dei passanti non lasciano tracce. La memoria
non conserva i volti. Tuttavia
la citta e esposta alla rovina (anzi, sottoposta),
pare avere il malocchio per il distratto l'angelo custode.
E lento il deperimento simile alla vita. Pertanto
si puo ancora godere di altre attrattive
(la quiete e l'afa, ad esempio), su cui non si vedono
tracce di decadimento. Del resto
le vedono solo gli anziani abitanti (pochissimi),
che compiono lo stesso giro ogni mattino
e sanno in anticipo quanto qui era, quanto non e piu.
Ma la citta vive, trasformandosi forse in un'altra citta o
nel monumento a se stessa (cosi, comunque, appare a noi),
il sole e sempre soave, e le fronde degli alberi
la difendono (per quanto possibile)
dalla lordura del gran mondo, diffuso la, oltre i monti.
Inoltre le periferie sono sempre deserte e silenziose.
Forse solo i cani con grande cattiveria abbaiano ai passanti,
lottando chiassosi contro le catene.

3

Ancora due parole: quanto abbiamo visto – ci e piaciuto con occhi di forestieri.
"Deserte e silenziose", certo, non sono solo le periferie:
una piazza, una via – forse balenano due, tre sagome.
Praticamente non ci sono conoscenti.
La vecchia vita e sparita insieme a molti suoi eroi,
che ora creano un'altra (quella) Fergana
in altri luoghi o
(il Signore sia con loro!)
mondi: su altre rive.
Ora, qui
altre persone fondano un'altra vita, un'altra citta, dove,
come ho scritto prima,
verremo, ma non ritorneremo.
Volevo ancora aggiungere due parole sugli alti alberi,
sospesi sulla citta come uno scudo, un secondo cielo;
sul comfort, sui soldi, sul lavoro interessante –
su cio che e la vita e che ci porta
sulle affollate rive dei fiumi e dei laghi europei;
due parole (come sempre) sul sole, il vento, il silenzio,
ma neanche una su come si lacera il cuore.
Salve, Fergana.
Addio, Fergana.
Salve e addio di nuovo.

Tempo lento

Talora accade un altro fatto, talora non accade niente, ma piu spesso la giornata fluttua, come l'orizzonte attorno a una giostra immobile, seguendo le irregolarita del paesaggio – ora in alto, ora in basso. Noi osserviamo, oscillando sulla terra natia: solo le catene metalliche dell'altalena sono tese in questi giorni. Il clima, l'umore, i soldi rimasti, che forse occorre spendere per le sigarette, le albicocche secche e il caffe.
Talora l'aria sembra un tetto soffocante. Talora, in un attacco di spasmi, non hai le forze di fare un passo. Talora la giornata non procede, anche se, come sempre, al mattino segue il batuffolo arroventato e appiccicoso del ristagno e l'arsura umida s'allunga, come una vena, come l'impietosa corda di un arco nelle mani del piu cupo degli angeli – l'angelo della morte. (La musica, che echeggia, e abbastanza lineare per penetrare la debole corazza della nostra pelle, e costringere a vibrare su una nota lunga e gravosa la rete delle arterie e delle vene.)
La pace, che avviene subito dopo – solo una frescura – e una sosta per il corpo stanco: anche il cuore tace.
Le cose (ad esempio i libri) perdono il loro contenuto e il meglio – non toccare nessuno, non sfiorare niente. Del resto, le tracce delle nostre dita sono ovunque, anche se le mani parrebbero immobili. Non ci puoi far niente: cosi e il tempo, e estate, cosi e il tempo.
I pensieri vagano nelle nebbie autunnali. Davanti agli occhi balenano talora i frammenti di versi stupendi. Comunque giunge piu alle orecchie: il gorgoglio del ruscello, gli uccelli canterini nascosti (le cui voci forse sono un po' monotone, uniformi, ma non per l'orecchio asiatico)… Tutto questo nella cornice di una quiete trasparente come cristallo.
L'animo e tranquillo, sempre tranquillo – il cielo ci protegge (dormano pure, se la godano nell'ignoranza appartata); e ogni sera (anzi, certo, cinque volte al giorno), nella quiete di un sobborgo che riposa, il muezzin (5) annuncia la notizia di una speranza, che sei libero di sentire e accogliere oppure no.
Malinconia? No, semplicemente il te verde (elisir di pacificazione), che versa sul mulino del lento orologio di qui un'acqua viva e morta. Com'e questa volta nella tua ciotola, paesano?

Note:
1) Terzo occhio, riferimento a dottrine esoteriche di varie scuole filosofiche orientali (induismo, taoismo, etc). D'altro canto con quest'espressione si sottintende un atteggiamento di ostentazione e spocchia, da cui l'eroe lirico intende distanziarsi. (un poeta cieco vede piu di un "filisteo" vedente)
2) Ardisvura Anahita, divinita dello zoroastrismo (religione dell'Iran preiranico), protettrice dell'armonia e incarnazione dell'amore divino.
3) Rifierimento a un verso, compreso in due canzoni degli "Akvarium", gruppo rock russo, notissimo in tutta l'ex URSS.
4) Qi Baishi (1860-1957), pittore cinese. Secondo la tradizione cinese, il pittore completa il suo quadro, scrivendo versi sulla tela. (Unione dell'arte pittorica, poetica e calligrafica)
5) Nel testo originale e adoperato il termine uzbeco "ozonci", "colui che invita alla preghiera del mattino". Indica in generale il muezzin. Pertanto e stata scelta per la traduzione questa parola, abbastanza nota al lettore italiano.

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